Lo so, la cosa sta un po’ sfuggendo di mano, ma quando ci si prende gusto… che volete fare. Ecco allora che Davide Bochicchio, contagiato dal passaggio di Nicola, ha cominciato un ciclo di sperimentazioni selvagge sulla produzione di biochar.
Conosciuto anche come “terra preta” o “carbone agricolo” e noto fin dall’antichità il “biochar” si ottiene per pirolisi di materiale vegatale (per lo più legno), una sorta di combustione lenta in assenza di ossigeno. In tutto il mondo si intensificano gli studi su questo prodotto che sembrerebbe essere un elemento fondamentale per la riprogettazione del sistema agricolo.
Agisce infatti come concime a cessione lenta, ammendante, pacciamante, permette di sequestrare nel terreno per tempi molto lunghi grandi quantità di CO2 (combattendo quindi l’effetto serra), in un processo produttivo ben ottimizzato il calore della pirolisi si recupera e si usa come energia termica.
Se avete partecipato all’incontro sull’energia da biomassa che abbiamo organizzato qualche mese fa vi ricorderete che la pirolisi è stata una delle tecniche a cui si è accennato.
Ecco il materiale di partenza dell’esperimento di Davide:
Qui sotto vedete la fornace artigianale utilizzata costruita con due vecchi bidoni metallici infilati uno dentro l’altro:
Ed ecco il prodotto finito, pronto per finire nell’orto:
Per approfondire l’argomento:
Le risposte sul biochar nel blog di Nicola Savio
The international biochar initiative (inglese)
The Food and Farming Transition (PDF – inglese)
Tag: biochar, fertilizzante, sequestro co2
aprile 16, 2009 alle 12:12 am |
Wow… che dire? La direzione non si assume responsabilità su bruciature ed ustioni 😉
ricordatevi che prima dovete “colonizzarlo” (attraverso un compostaggio o cose simili) altrimenti vi “succhia” i nutrienti dal terreno abbassandone la fertilità per un po’ di tempo…
aprile 16, 2009 alle 9:36 am |
Colonizzarlo? Spiega meglio please…
aprile 16, 2009 alle 2:07 PM |
Da Nicola:
Aha! Allora non stai attento durante le lezioni! 😉
Il biochar così com’è funziona da spugna… ossia: se inserito nel suolo ne assorbe nutrienti e cariche microbiche (effetto – impoverimento del suolo).
Questo è comunque solo un fattore temporaneo… dopo dovrebbe riprendere tutto in maniera normale.
Per ovviare a questo provblema il carbone andrebbe prima compostato o, se si ha fretta, imbibito in compost liquido (compost tea)…
Saluti!
aprile 16, 2009 alle 2:09 PM |
Forse quel giorno lì che avete spiegato l’imbibimento ero malato… 😦
aprile 18, 2009 alle 2:28 PM |
[…] “Terranauta” pubblica un’altro articolo scritto da me e a Monteveglio si da fuoco alle polveri e si realizzano orti quà e là. Il “viral gardening” […]
aprile 19, 2009 alle 1:28 PM |
mi interessa il vostro fornetto fai da te da pirolisi, tra quelli che ho visto sarebbe l’unico gestibile dove abito non è che postate come si costruisce essendo io poco tecnica. grazie elena
Maggio 11, 2009 alle 1:44 PM |
Ciao Elena, in giro per la rete c’è parecchio materiale disponibile. Però devo dirti che più ragioniamo su questa tecnologia più arriviamo alla conclusione che sia sostenibile solo attraverso una produzione centralizzata che riesca a ottimizzare il processo e a sfruttare efficientemente la produzione di calore. Comunque abbiamo attivato diverse linee di ricerca, seguici e vedrai che arriveremo a delle conclusioni.
Maggio 11, 2009 alle 2:04 PM |
Ciao Elena, rubo il posto a Cristiano un secondo (spero mi perdonerà) io ho costruito una “coso” su cui faccio le grigliate con gli amici mentre produco biochar… le info per farlo le trovi qui http://www.holon.se/folke/carbon/simplechar/simplechar.shtml
Non è esageratamente efficiente ed efficace ma piuttosto di bruciare le foglie e le potature e basta….
Saluti
Maggio 12, 2009 alle 9:47 am |
Diglielo però che hai quasi fatto una Sindrome Cinese 😉
Maggio 12, 2009 alle 1:54 PM |
No… quello era l’esperimento precedente di retort 🙂
Mooolto più complesso!
Maggio 12, 2009 alle 2:16 PM |
Ha ha ha, sei mitico….